GAT - Gruppo Astronomico Tradatese

Lettera n°70

Giove e la Galileo (I parte)

Sommario:

A TUTTI I SOCI

Avevamo conosciuto Carl Sagan al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California, nell'Agosto 1989, in occasione della memorabile notte dell'incontro del Voyager 2 con Nettuno. Rimanemmo affascinati dal suo grande entusiasmo di scienziato e di uomo. In particolare, ad una nostra precisa domanda, ci diede una risposta che non dimenticheremo: "Fin da fanciullo -ci disse- la ricerca planetaria era la piu' grande passione della mia vita. E' stato ed e' entusiasmante potersi occupare per professione, a tempo pieno, di queste cose. Per questo, come uomo, mi ritengo molto, molto fortunato". Adesso, a soli 63 anni, questo straordinario scienziato ci ha lasciato : una terribile e rarissima forma di leucemia ('mielodisplasia' per i medici) l'ha infatti stroncato in meno di due anni. Eppure, fino all'ultimo ha saputo conservare una sconvolgente e commovente lucidita'. Lo testimonia uno struggente articolo da lui scritto lo scorso 10 Marzo'96 e reso pubblico ai 150.000 soci dalla Planetary Society da lui fondata 20 anni fa. In in esso, pur nella consapevolezza della gravita' della malattia, continua a considerarsi un uomo fortunato: "Bisogna essere grati ogni giorno per la breve ma magnifica opportunita' che la vita ci fornisce". La sua convinzione dell'esistenza di forme di vita extraterrestre era assoluta: riteneva infatti insensato un Universo cosi' fantastico senza la presenza di esseri intelligenti che lo potessero studiare e capire.

Pur nella costernazione per la perdita di un grande scienziato come Carl Sagan, il 1997 si apre con grandi aspettative per quanto riguarda la ricerca astronomica. Si comincera' in Febbraio con la seconda missione Shuttle di REVISIONE DELLO SPACE TELESCOPE: i 'vecchi' strumenti GHRS e FOS saranno infatti sostituiti con i sofistificatissimi STIS (Space Telescope Imaging Spectrograph) e NICMOS (Near-Infrared Camera and Multi Objects) e questo migliorera' a dismisura le gia' immense capacita' dello Space Telescope. In Marzo-Aprile ci sara' il grande show della cometa HALE-BOPP forsa la piu' grande che si sia mai avvicinata alla Terra in epoca storica. Il 27 Giugno la sonda NEAR sfiorera' l'asteroide 253 Matilde. Il 4 luglio la navicella PATHFINDER tocchera' il suolo marziano nella regione di Ares Valley. Il 26 Settembre sara' invece la sonda GLOBAL SURVEYOR ad entrare in orbita attorno a Marte. In Ottobre, infine, partira' la sonda CASSINI, destinata, nel 2004 ad entrare in orbita attorno a Saturno ed a far scendere una piccola capsula carica di strumenti nelle nuvole del misterioso satellite Titano. Nel frattempo continuera' l'esplorazione del Sole da parte della navicella SOHO e di Giove da parte della sonda GALILEO, con la possibilita' di nuove, sensazionali scoperte.

Proprio alle prime scoperte della Galileo dedichiamo questa lettera (Giove ed Io) e la prossima (Europa, Ganimede e Callisto).



Giove e la Galileo - Parte I: Giove e Io

Erano davvero molti gli interrogativi suscitati dal primo 'contatto' con Giove della sonda Galileo, avvenuto il 7 Dicembre'95 con l'inserzione in orbita della sonda principale (Orbiter) e con il rilascio nelle nuvole equatoriali del pianeta di una capsula carica di strumenti (Probe). Nel medesimo momento, una disfunzione del registratore di bordo (cui, fortunatamente, e' stato poi posto rimedio) ha impedito che venissero acquisiti (poco prima dell'inserimento in orbita gioviana) dati ed immagini di grande interesse sui satelliti Europa (sfiotato a soli 33.000 Km) ed Io (sfiorato a meno di 1000 Km). In particolare grande fu il rincrescimento per la rinuncia forzata ad Io. Il flyby con Io e la corrispondente deviazione gravitazionale della traiettoria della Galileo era irrinunciabile per il corretto inserimento in orbita gioviana. Nel contempo si trattava anche di una manovra molto pericolosa, in quanto Io si trova immerso nel pieno della magnetosfera di Giove, quindi in un ambiente estremamente ricco di particelle ad alta energia altamente deleterie per qualunque strumentazione elettronica. Come tale, nel programma della missione, il flyby con Io era stato inserito una sola volta, senza possibilita' di replica.
Adesso, dopo un anno di permanenza in orbita gioviana, qualunque pessimismo e' ormai superato: a Terra, infatti, stanno arrivando dati di tale qualita' e rilevanza scientifica, da far dimenticare qualunque problema precedente. Unico guasto che non si e' mai riusciti a risolvere e' la mancata apertura dell'antenna principale da 4,2 metri: per questo le scoperte si susseguono ininterrotte ma con un ritmo molto lento (l'antenna a piccolo guadagno usata per le trasmissioni riversa a Terra mediamente 2-3 immagini al giorno). Vediamo, per adesso, di riassumere le novita' riguardanti Giove come pianeta e proprio Io, ossia il piu' vicino dei suoi satelliti maggiori.

1) GIOVE: PIANETA UMIDO O SECCO?
Alla Galileo in orbita era devoluta la risoluzione di un autentico enigma: quello di trovare una spiegazione alle anomalie atmosferiche riscontrate dal Probe il 7 Dicembre'95 durante la sua discesa per 58,5 minuti nelle nuvole di Giove. Come noto, secondo tutte le teorie piu' accreditate, il guscio esterno del gigante gassoso dovrebbe essere composto da tre strati nuvolosi: uno superiore di ammoniaca, uno centrale di solfuro d'idrogeno ed uno sottostante di vapor d'acqua. Grande e' stata la sorpresa nel constatare che, nel punto dell'equatore gioviano dove si e' immerso il Probe, l'ambiente era non solo piu' secco di quanto si potesse immaginare ma, addirittura era del tutto assente la stratificazione di nuvole di vapor d'acqua, quindi erano assenti piogge e fenomeni temporaleschi ad esse connessi. Quasi subito ci si e' resi conto che il Probe potrebbe essere sceso in una zona dell'equatore gioviano molto particolare, in quanto solo casualmente calda e secca, quindi sgombre di nuvole. Sono state alcune immagini infrarosse a 4,8 microns riprese al telescopio IRTF delle Hawaii a far nascere questo sospetto: nel momento infatti in cui il Probe si stava avvicinando, Giove presentava alcune 'macchie termiche' equatoriali molto piu' secche e calde del resto del pianeta. Ebbene, per una incredibile (e sfortunata!) coincidenza, il Probe si e' andato ad immergere proprio nella principale di queste 'macchie infrarosse', denominata, per l'occasione, 'il Sahara di Giove'.
Nei mesi successivi la possibilita' che Giove sia globalmente un pianeta secco si e' andata sempre piu' affievolendo. Vediamone le ragioni.
Alcuni segnali in proposito sono venuti dalle stesse misure del Probe, accuratamente ricalibrate per tener conto di un inaspettato aumento della temperatura interna durante la discesa: in particolare adesso e' certo che uno strumento di vitale importanza come lo spettrometro di massa neutro (NMS) ha in effetti riscontrato segni di umidita' crescente man mano che il Probe raggiungeva gli strati atmosferici piu' profondi.
Sono state pero' le misure infrarosse dello strumento NIMS (Near Infrared Mapping Spectrometer) a bordo dell'Orbiter a dare una svolta all'intricata situazione.
NIMS ha infatti ripreso spettri tra 4 e 5,5 microns, al di sopra di un certo numero di 'macchie termiche' preselezionate in immagini infrarosse ottenute al telescopio IRTF delle Hawaii. In corrispondenza di queste 'macchie calde' la Galileo ha riscontrato, in generale, un basso livello di umidita' ma, cosa estremamente importante, 'macchie calde' diverse mostravano un tenore di vapor altrettanto diverso: questa e' una chiara indicazione che la riduzione di vapor d'acqua e' legata a fenomeni atmosferici locali e non e' invece una caratteristica globale di Giove.


Il debole segnale dell'acqua in uno spettro NIMS su una 'macchia termica' gioviana situata a 5°N e 85°W.
Immagine più grande: 16 K


Altri indizi di attivita' temporalesche intense e continue sono stati rintracciati nei dintorni della Grande Macchia Rossa in immagini riprese nell'infrarosso vicino dalla camera SSI (Solid State Imaging System). La sorprendente struttura tridimensionale del grande ciclone e' stata invece per la prima volta evidenziata da riprese nell' infrarosso medio tra 1 e 50 microns (strumenti NIMS e PPR). La camera SSI ha lavorato alle lunghezza d'onda di 0,732 e 0,886. In questa regione e' massimo assorbimento del Metano di cui e' ricca l'atmosfera di Giove: per questo appaiono chiari tutti i dettagli di alta quota (dove si attenua la presenza di metano). Ecco allora che sono state osservate, a Nord-Ovest della Macchia Rossa, enormi strutture nuvolose in rapido sollevamento (fino a 30 Km) e dilatazione (2000 Km in poche ore), la cui energia ascensionale sarebbe spiegabile- secondo i calcoli presentati da A.Ingersoll (Caltech) all'ultimo congresso della Societa' Astronomica Americana, tenutosi a Tucson in Ottobre'96- solo con la condensazione di grandi quantita' di acqua. Per contro, nella zona di Nord-Est, in un riquadro di 6000 Km di lato centrato a 13 S e 314 W, immagini SSI riprese a 70 minuti di distanza hanno mostrato un gran numero di strutture nuvolose di piccole dimensioni (poche decine di Km) che continuamente si formano e si dissolvono, facendo pensare, proprio come succede nell'atmosfera terrestre, alla presenza di un'intensa attivita' temporalesca.


La Macchia Rossa vista dalla Galileo in UV.
Immagine più grande: 58 K

Immagine SSI nel visibile.
Immagine più grande: 52 K

Immagini NIMS infrarosse. La fig. C è fatta a 1,76 microns.
Immagine più grande: 17 K


Altre indagini, questa volta condotte nell'infrarosso medio tra 1 e 50 microns, dagli strumenti NIMS e PPR hanno per la prima volta chiarito la sorprendente struttura tridimensionale della Grande Macchia Rossa. Intanto il PPR (Fotopolarimetro-Radiometro) ha determinato, dall'emissione a 22 microns, le temperature all'interno ed all'esterno della Macchia Rossa: ebbene, la temperatura piu' bassa (-162 ) si e' rilevata esattamente nel cuore del grande ciclone, mentre, negli immediati dintorni la temperatura cresce di alcuni gradi. Una situazione, questa, giustificabile solo immaginando che il centro della Macchia Rossa sia -contrariamente a quanto si potrebbe pensare- non una zona incavata, bensi' una zona in rilievo! E che questa sia davvero la realta' delle cose e' stato dimostrato dallo strumento NIMS: il cuore della Macchia Rossa appare infatti cosi' brillante nella banda di forte assorbimento del metano a 1,76 microns da farne stimare un innalzamento minimo di 20 Km rispetto all'ambiente circostante; il nucleo in rilievo e' circondato da un collare la cui luminosita a 0,76 microns lo fa collocare ad almeno 3-4 Km piu' in basso; infine, all'esterno di questo collare incavato, una forte emissione termica a 5 microns indica la presenza, attorno a tutto il sistema della Macchia Rossa, di una specie di 'cintura termica' dove l'atmosfera diviene particolarmente trasparente.


Nubi temporelesche in immagini SSI a 0,89 microns.
Immagine più grande: 62 K



2) IL VOLTO MUTEVOLE DI IO.
Come accennavamo, il 7 Dicembre'95 la sonda Galileo ha sfiorato l'equatore di Io da soli 897 Km: il gravity assist era decisivo per il suo corretto inserimento in orbita gioviana, ma, purtroppo imprevisti guai tecnici al motore di riavvolgimento del registratore a nastro di bordo, hanno impedito che venissero riprese immagini e dati ad altissima risoluzione. Nei mesi successivi, pero', gli scienziati della Galileo si sono ampiamente rifatti: Io, infatti, e' stato ripetutamente osservato, seppur da grande distanza, dalla camera SSI (Solid State Imaging System) a bordo della Galileo che, grazie al suo straordinario potere risolutivo, ha fornito immagini paragonabili, se non migliori, a quelle acquisite negli anni 80 dalle sonde Voyager. Ma torniamo un attimo al 7 Dicembre'95. Innanzi tutto, nel momento preciso del flyby, e' stato possibile misurare nei minimi dettagli il campo gravitazionale di Io, dalle variazioni di velocita' prodotte sulla traiettoria della Galileo (questo in base all' esame dello spostamento Doppler dei radiosegnali in banda S, ossia a 13 cm di lunghezza d'onda). Da questi dati un team di fisici dell'Universita' della California guidati da J.Anderson ha potuto, per la prima volta, risalire alla struttura interna del satellite. La sorprendente conclusione e' che Io possiede un nucleo metallico che, nell'ipotesi piu' plausibile di una composizione a base di Ferro e solfuro di Ferro, avrebbe un raggio di circa 900 Km (il 52 % del raggio medio del satellite di 1821,3 Km) ovvero ingloberebbe qualcosa come il 20% della massa totale. Chiaro che, essendo Io un corpo continuamente riscaldato dall'interazione mareale con Giove (da qui il suo vulcanesimo parossistico), ci si e' subito chiesti se, per caso, esso possedesse anche un campo magnetico intrinseco.


Variazione Doppler dei radiosegnali della Galileo nel momento del flyby con Io.
Immagine più grande: 14 K


Un'ipotesi avvalorata dal fatto che la Galileo, nel momento della massima vicinanza ad Io, evidenzio' una diminuzione di circa il 40% dell'intensissimo campo magnetico gioviano. Una diminuzione, pero', senza un vero e proprio cambiamento di direzione, come invece ci si poteva aspettare in presenza di un campo magnetico intrinseco al satellite. Si e' dovuto cosi' attendere fino a luglio'96 quando sono stati riversati a Terra i dati dello strumento PLS (Plasma Analyzer), cui era devoluto il compito di ricercare un'eventuale ionosfera (leggi involucro di atomi ionizzati, ossia elettricamente carichi) solidale con Io. Dai dati PLS e' risultata chiara la presenza attorno ad Io di una ionosfera composta fondamentalmente da Ossigeno e Zolfo ionizzati positivamente (una o due volte), certamente in grado di fare da schermo (come in realta' osservato) al campo magnetico gioviano esterno. Piu' difficile e' spiegare come faccia Io a trattenere questa ionosfera, considerando il fatto che, dalla temperatura misurata, gli ioni che la compongono hanno velocita' di gran lunga superiore a quella di fuga. Una possibilita' e' che questi ioni vengano rallentati da continue collisioni con una atmosfera neutra (prodotta dal vulcanesimo) che circondi Io con una densita di almeno 109 atomi\cm3. Questo valore e' almeno 100 volte maggiore di quanto determinato negli anni 80 dalle sonde Voyager, ma, almeno nel momento del flyby della Galileo, non appare per niente irrealistico. In effetti, a bordo della Galileo c'era un altro strumento, denominato PWS (Plasma Wave Subsystem) il cui compito era quello di misurare (attraverso le corrispondenti radioemissioni) la densita' degli elettroni nella grande ciambella di particelle ('toro') che avvolge tutta l'orbita di Io. Il risultato e' stato chiaro: la densita' di elettroni nel toro di Io e' risultata, il 7 Dicembre'95, almeno doppia rispetto a quella misurata dalle sonde Voyager 15 anni prima. Questo incremento suggerisce che il vulcanesimo su Io, al cui materiale va ascritta la presenza del 'toro' orbitale, deve essersi di molto accentuato in questi ultimi anni. E che questa sia effettivamente la realta' delle cose e' stato domostrato dalla Galileo in tutta una serie di spettacolari immagini, riprese sia nel visibile (camera SSI) sia nell'infrarosso (camera NIMS). Particolarmente importanti, per l'individuazione di macchie termiche ('Hot spots') di natura vulcanica, sono state due serie di immagini NIMS a 5 microns: la prima ottenuta il 29 giugno'96 da 1.035.000 Km mentre Io era eclissato da Giove (quindi in condizioni perfette per l'individuazione di macchie termiche), la seconda ottenuta il 7 Settembre'96 da 439.000 Km (quindi in condizioni di ottima risoluzione). Almeno una meta' dei vulcani scoperti dai Voyager erano ancora attivi, ma molti altri, nuovi, sono stati individuati. L'estensione dei vari 'Hot spots' andavano da 6,5 km2 fino a 40.000 Km2 e il confronto della loro temperatura (dedotta dall'intensita' dell'emissione termica) con la loro estensione superficiale e con le corrispondenti immagini ottiche ha fornito importanti informazioni sulla natura dei vulcani di Io. In sintesi si e' osservato che gli 'Hot spots' piu' caldi (temperature prossime ai 500 C) sono anche quelli con la minore estensione superficiale, mentre le temperature inferiori si riscontrano laddove le immagini nel visibile indicano i maggiori cambiamenti superficiali: sembra confermata, a questo punto, l'ipotesi che le temperature piu' alte corrispondano alla presenza di magma silicatico, mentre alle temperature piu' basse corrispondano emissioni di materiali sulfurei (zolfo e anidride solforosa) in grado di disperdersi su porzioni molto piu' ampie di superficie.


Io ripreso dallo strumento NIMS a 5 microns, il 7 settembre 1996.
Immagine più grande: 33 K


Certo, tutto diverrebbe piu' comprensibile in occasione di un passaggio ravvicinatissimo della Galileo alla superficie di Io: proprio quello che si sta tentando di realizzare in un piu' che probabile prolungamento della missione Galileo al di la' dei due anni inizialmente previsti.


Fine della prima parte di "Giove e la Galileo". La prossima lettera sarà dedicata a Europa, Ganimede e Callisto.


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