Non c'e' dubbio che l'estate di quest'anno e' stata caratterizzata (e
speriamo continui ad esserlo per molti mesi ancora!) dall'esplorazione
della regione marziana di Ares Valley da parte della sonda PATHFINDER
Per questo dedicheremo tutte le nostre conferenze di Novembre ai risultati
preliminari di questa missione. Ma Pathfinder e' atterrata su Marte ad
un anno esatto dall'annuncio della possibile presenza di batteri marziani
nella METEORITE ANTARTICA ALH84001: per questo abbiamo deciso di dedicare
interamente questa lettera ad una complessa disamina di questa affasciante
e controversa ricerca.
Purtroppo, pero', una notizia tristissima ci ha raggiunto come un fulmine
a ciel sereno lo scorso 18 Luglio: in un drammatico incidente moriva
in Australia a soli 69 anni, Eugene Shoemaker, un nome mitico nella
ricerca planetaria di questo secolo e scopritore della famosa cometa che
ha colpito Giove nel 1994. Gravemente ferita la moglie Carolyn, sua compagna
di tante ricerche su comete ed asteroidi. Erano una coppia perfetta ed
indivisibile. Conoscemmo entrambi nel 1991 al Congresso Mondiale di Belgirate
sui Piccoli Corpi del Sistema Solare: lui burbero ed estroverso, lei dolce
e paziente. Una perdita irreparabile per la comunita' scientifica mondiale!
ALH84001 UN ANNO DOPO
Esattamente un anno fa, il 7 Agosto'96, nel corso di una famosa conferenza
stampa tenutasi ad Houston, un gruppo di 9 ricercatori della NASA guidati
da David McKay (JSC - Johnson Space Center) dava il clamoroso annuncio
di aver individuato tracce di batteri fossili nella meteorite marziana
ALH84001. Ci sembra quindi giusto fare il punto (il primo in Italia da
allora) della grande quantita' di studi (e di polemiche!) che si sono susseguite
in questi mesi.
Due caratteristiche differenziano ALH84001 da tutte le altre meteoriti
marziane: la prima e' un'eta' molto antica di 4,5 miliardi di anni, la
seconda e' la presenza 'massiccia' di carbonati (attorno al 5%) infiltratisi
in un complesso sistema di fratture prodotte da un impatto meteorico 4
miliardi di anni fa. ALH 84001 si e' poi staccato da Marte 17 milioni di
anni fa, in conseguenza di un ennesimo violento impatto meteorico che l'ha
proiettato nello spazio, facendola planare, circa 13.000 anni fa sulla
collina antartica di Allan Hill.
S.Clemett e R.Zare, due chimici analitici dell'Universita'di Stanford
hanno scoperto, entro i carbonati di ALH84001, idrocarburi aromatici
policiclici (PAH) in quntita' relativamente abbondante, ritenuti da
D.McKay di origine batterica. Veramente peculiare e' poi la struttura
degli stessi granuli carbonatici da 50-100 µ che riempiono le
fratture: il cuore e' fatto di Carbonato di Calcio (arancione), con all'esterno
gusci alternati di carbonato di Ferro (chiaro) e carbonato di Magnesio
(scuro). Grazie al contributo di H.Vali (Universita' di Montreal), nelle
parti piu' esterne dei globuli di carbonato sono stati scoperti accumuli
contemporanei di ossido di Ferro (Magnetite) e solfuro di Ferro (pirrotite),
in particelle non piu'lunghe di 100 nanometri. Secondo H.Vali le inclusioni
di magnetite hanno grande somiglianza con depositi dello stesso materiale
che, chiamati "magnetofossili", vengono usati da certi batteri terrestri
per orientarsi nel campo magnetico esterno. Gli stessi batteri possono
altresi' creare condizioni per la precipitazione contemporanea di magnetite
e pirrotite, laddove e' ben noto che questo processo, perche' avvenga in
maniera naturale, richiede condizioni chimiche assolutamente improbabili.
A queste testimonianze chimiche, si e' aggiunta una clamorosa osservazione
di due esperti di microscopia elettronica come E.K.Gibson (JSC) e Kathie
L. Thomas-Keprta (Lockheed Martin). In pratica cioe', laddove nei carbonati
di ALH84001 si concentrano i minerali di Ferro, foto al microscopio elettronico
hanno evidenziato strutture ovoidali allungate, mai prima riscontrate
in nessun meteorite ed incredibilmente simili a tracce fossili di batteri
terrestri, anche se 100 volte piu' piccoli.
Fin dal primo momento D. McKay ha sempre ribadito con fermezza il pensiero
di fondo del suo gruppo: "Ciascuna delle testimonianze che noi abbiamo
raccolto potrebbero essere singolarmente spiegate in maniera NON biologica.
Quando esse vengono pero' valutate COLLETTIVAMENTE, soprattutto in considerazione
della loro chiara ASSOCIAZIONE SPAZIALE, ci sembra che debbano considerarsi
una prova dell'antica esistenza di forme di vita primordiali su Marte".
Ne e' seguito un vero diluvio di ricerche e pubblicazioni. Vediamo
di trovare un filo conduttore coerente in questa autentica 'giungla' di
nuovi lavori sperimentali.
DA DOVE VENGONO I PAH.
Come abbiamo accennato ALH 84001 contiene una quantita' media di 1 ppm
(parte per milione) di idrocarburi aromatici policiclici (PAH), concentrati
soprattutto alla periferia dei granuli di carbonati. Gli spettri di massa
(Fig.1) ne indicano una suddivisione in due
categorie: nella principale (peso molecolare fino a 276) dominano i sistemi
da 3-6 anelli senza sostituenti laterali (molto strana e' l'assenza del
naftalene, ossia della specie a due anelli), la seconda (peso molecolare
fino a 450), nettamente meno abbondante, e' invece caratterizzata dalla
presenza di policicli ad alto grado di sostituzione laterale.
Figura 1 La quantità di PAH in ALH84001 aumenta sistematicamente andando
verso l'interno. Qui vediamo l'andamento del più abbondante tra
essi. Immagine più grande: 13 K
La prima contestazione alla presenza di PAH e' stata che essi potrebbero
non essere indigeni, ma derivare da inquinamento terrestre. Su questo
punto il team di McKay ha subito ribattuto in maniera molto convincente.
Intanto i PAH sono assenti nei primi 50 microns di crosta (dove evidentemente
sono stati distrutti dalla pirolisi termica durante l'entrata in atmosfera),
quindi la loro concentrazione AUMENTA con la profondita': esattamente l'opposto
di quanto ci si deve aspettare da un inquinamento ambientale! In secondo
luogo i PAH di provenienza umana (leggi: combustione parziale di idrocarburi
fossili) sono caratterizzati da estese ramificazioni laterali e dalla presenza
di eterocicli a base di Zolfo (dibenzotiofene), nonche' di naftalene: esattamente
il contrario che in ALH84001. Il team di Mckay ha inoltre ben evidenziato
come in altre meteoriti antartiche sia provenienti dalla stessa regione
di ALH84001 (ALH83013 e ALH83101) che da molto piu' lontano (LEW 85820)
NON sono state trovate tracce evidenti di PAH. Senza contare che la quantita'
di PAH entro ALH84001 e'risultata nettamente superiore alla quantita' massima
presente nei ghiacci dell'Antartide (stimata non superiore a 1 ppb, ossia
1000 volte meno abbondante!). J.Bada (Scripps Oceanographic Institute)
ha pero' presentato nella primavera del 1997 un lavoro di sottile contestazione:
secondo esperimenti condotti nel suo laboratorio i carbonati sarebbero
in grado di assorbire dall'acqua circostante i PAH concentrandoli fino
ad un milione di volte! Lo confermerebbe il fatto che PAH simili a quelli
di ALH84001 sono stati trovati in un altro famoso meteorite marziano, EETA79001
dove, guarda caso, il gruppo di C.T. Pilliger (Open University) rinvenne
tracce di carbonati gia' nel lontano 1985. Secondo E.Anders (Universita'
di Chicago) si tratterebbe di una specie di 'effetto spugna' dovuto alla
porosita' dei carbonati. Considerazioni difficili da ribattere? Certo,
ma non per S.Clemett (lo scopritore di PAH in ALH8401) che ha colto nel
lavoro di J.L.Bada un chiaro punto debole: in pratica J.L.Bada avrebbe
'barato' avendo usato nei suoi esperimenti una miscela di PAH SOLUBILI
in acqua, mentre invece la maggior parte dei PAH entro ALH84001 sono INSOLUBILI
(quindi NON trasportabili dall'acqua)! In definitiva, dopo un anno di discussioni,
sembra ormai accettato il fatto che i PAH in ALH84001 siano di natura endogena,
ossia originari del meteorite. Rimane pero' aperta la discussione sulla
loro origine, se naturale o biologica. Una possibilita', la seconda, supportata
da un lavoro presentato dal gruppo di C.Pillinger (Open University) al
28°LPSC secondo cui il materiale organico (soprattutto PAH) adsorbito
nella matrice carbonatica di ALH84001 e' nettamente ARRICCHITO di Carbonio12
rispetto al Carbonio13, una caratteristica, questa, assolutamente tipica
del metabolismo batterico.
IL MESSAGGIO DEI CARBONATI.
Come abbiamo spiegato, tutti gli indizi dell'esistenza di batteri marziani
fossili si raggruppano all'interno dei carbonati che riempiono le fessure
di ALH84001. Ricordiamo che la struttura chimica stratificata di queste
formazioni (con depositi di magnetite e pirrotite all'esterno) e' qualcosa
davvero molto particolare, forse unico. (Fig.2).
Ovvio che l'ipotesi batterica diventa indissolubilmente legata alla temperatura
(alta o bassa) di deposizione dei carbonati marziani.
Due sono le ricerche principali A FAVORE DI UNA TEMPERATURA DI DEPOSIZIONE
BASSA.
La prima, introdotta gia' alla fine del 1994 da G.S.Romanek (uno dei
primi ad unirsi al gruppo di D.McKay al Johnson Space Center) si basa sulla
misura della composizione isotopica dell'O (ossigeno) e della CO2
(anidride carbonica) emessa dai carbonati stessi per trattamento acido
ad 80°C. L' Ossigeno dei carbonati mostra un arricchimento in O18 (20%.
rispetto a O16) differente e 4 volte superiore a quello della matrice silicatica
(che, verosimilmente, si era depositata ad alta temperatura). A questo
dato J.W.Walley (Universita' del Wisconsin) ha aggiunto un altro importante
risultato: quello secondo cui il tenore di O18 NON e' costante ma
e' variabile, aumentando, lungo un granulo di carbonato, progressivamente
dal cuore verso la periferia. Ebbene, entrambe queste risultanze isotopiche
si giustificano nel caso che a depositare i carbonati nelle fessure sia
stata acqua corrente a T<80°C.
Ma, forse, la prova piu'consistente che i carbonati di ALH84001 non
possono aver sperimentato altissime temperature, deriva da uno studio
sul magnetismo naturale residuo (NRM), pubblicato nella primavera del
1997 da J.L. Kirschvink (CalTech). E' ben noto che quando una roccia si
forma per raffreddamento di un magma fuso in presenza di un campo magnetico
esterno, eventuali minerali magnetizzabili si allineano secondo questo
campo magnetico conservandolo indefinitamente sotto forma di magnetismo
fossile (NRM). Ebbene, Kirschvink ha prelevato un frammento da una delle
fratture di ALH84001 piu' ricolme di carbonati e ha rilevato un analogo
forte magnetismo fossile NRM in due piccole zone adiacenti ricche di pirrotite.
Kirschvink ha anche verificato che l' orientazione del NRM nei due frammenti
e' completamente diversa (la differenza e'di ben 75°). Questo significa
che i due frammenti possono aver subito una dislocazione reciproca nel
momento in cui il meteorite si fratturo' (come detto 4 milardi di anni
fa), senza che, pero', in seguito si siano sovrapposti episodi di riscaldamento
a Temperatura >325°C (questa e' infatti la temperatura in grado di
azzerare il magnetismo della pirrotite). Se questo fosse successo i due
frammenti avrebbero perso il magnetismo (disassato) originario e ne avrebbero
acquisito uno nuovo, questa volta senza differenza di orientazione!
Come si vede, dunque, questo del magnetismo residuo e' un argomento
molto 'forte' a favore di una bassa temperatura per la deposizione dei
carbonati. Cio' non toglie che siano molto agguerriti anche i fautori della
DEPOSIZIONE AD ALTA TEMPERATURA.
A guidare il gruppo e' H.Y. McSween (Universita' del Tennesse) il quale
contesta che i carbonati siano stati deposti in ALH84001 da acqua corrente
a bassa temperatura per una ragione molto semplice: mancano, nelle vicinanze
dei carbonati, materiali come caolini od argille che sempre si accompagnano
ai sedimenti idrotermali. Piu' semplice, secondo McSween, supporre che
l'acqua in tutto il processo non centri assolutamente nulla. La ragione?
Lo dimostrerebbe il fatto che il cuore dei granuli di carbonato e' costituito
da una miscela di due minerali di Calcio, la Calcite e la Dolomite: ebbene,
da esperimenti di laboratorio, cio' risulta possibile solo a Temperature
vicine ai 700°C, come, per esempio, in occasione di impatti meteorici.
Il ricorso all'azione dI impatti meteorici e'stato preso in considerazione
pure da E.D.Scott (Universita' delle Hawaai), anche se, in questo caso,
le considerazioni sono piu' di tipo mineralogico che chimico. Secondo Scott
molti dei carbonati riempiono in maniera cosi' compatta le fratture del
meteorite da far pensare che essi vi si siano inseriti allo stato fuso
(e' ben noto - ricorda Scott - che le lave carbonatiche sono tra le piu'
fluide che si conoscano). Ma nell'eventualita' di un carbonato fuso la
cristallizzazione nei singoli granuli (leggi: orientazione dei cristalli)
dovrebbe procedere dall'esterno verso l'interno e non, come si osserva
in realta', viceversa!
IL MISTERO DEI BATTERI FOSSILI
I documenti piu' 'insinuanti' sono senza dubblio le immagini (ottenute
con il SEM, microscopio elettronico a scansione) di possibili batteri fossili
all'interno dei carbonati di ALH84001. (Fig. 3).
Si tratta di aggregati di piccoli 'oggetti' ovoidali rintracciati in
tutte quelle zone dove i carbonati sembrano aver subito un processo disgregativo
e particolarmente abbondanti laddove c'e' addensamento di ferro e zolfo
(leggi: bordi esterni dei granuli carbonatici). Se la loro morfologia richiama
in maniera impressionante quella di batteri fossili terrestri, le loro
dimensioni arrivano al massimo a 100 nm (nanometri), quindi sono da 10
a 100 volte piu' piccoli di qualunque batterio terrestre conosciuto.
L'ipotesi dell'artefatto e' immediatamente tramontata quando A. Steele
(Universita' di Portsmouth), durante il 28°LPSC, ha mostrato foto delle
stesse formazioni ovoidali ottenute con uno strumento completamente diverso
dal SEM, vale a dire un microscopio a forza atomica (AFM).
Non c'e' dubbio che, su queste formazioni, le perplessita' maggiori
rimangono quelle delle loro troppo piccole dimensioni. Per esempio W. Schopf
(Universita' della California), un'autorita' mondiale nella ricerca e scoperta
di microfossili terrestri, ha sottolineato come il volume medio dei presunti
batteri marziani sia solo 1/1000 di quello del piu' piccolo nicroorganismo
terrestre: in un volume cosi' piccolo sembra impossibile possano trovar
posto i costituenti principali del metabolismo cellulare. Va pero' ricordato
che nel 1990 R.L.Folk e F.L.Lynch (Universita' del Texas) hanno rintracciato
in alcune concrezioni calcitiche del Pleistocene delle minuscole forme
fossili da essi (ma non da tutti!) interpretate come l'impronta di antichi
nanobatteri.
A questo punto, pero', non si deve dimenticare che un' altra delle
perplessita' sui batteri fossili marziani riguarda proprio la loro eta'
che, essendo coeva con la deposizione dei carbonati, si colloca tra 3,8
(troppo antica!) e 1,4 miliardi di anni fa (troppo giovane!).
L'eta'piu' antica non e' piu' un problema da quando, alla fine del
1996, un gruppo di ricercatori guidati da S.J. Mojzsis (Universita' della
California) ha rintracciato in Groenlandia tracce di vita fossile risalenti
a 3,85 miliardi di anni fa. Per contro un'eta' di 1,4 miliardi sembrerebbe
successivo al periodo in cui Marte aveva condizioni adatte alla vita. Ma
i dati presentati dal gruppo di C.Pillinger (Open University) ad un congresso
della Royal Society tenutosi nel Novembre'96 a Londra hanno completamente
riaperto la discussione. Oggetto della ricerca e' stata l'analisi della
presenza di sostanze organiche in un'altra famosa meteorite marziana, EETA79001,
la cui eta'-come ben noto- e'di soli 1,3 miliardi di anni. Ebbene, elaborando
e completando alcuni dati preliminari pubblicati gia' nel 1989, gli studiosi
inglesi asseriscono di aver estratto da EETA79001 del materiale carbonioso
che, presentando un nettissimo impoverimento in C13 (in un campione si
arriva al doppio della media terrestre!) va a tutti gli effetti ritenuto
di origine biologica. Questo risultato, se confermato, non solo sarebbe
di grosso supporto ai risultati del gruppo di McKay su ALH84001, ma dimostrerebbe
anche che la vita su Marte era ancora attiva 1,3 miliardi di anni fa.
Sta di fatto che, durante il 28° Congresso di Scienze Lunari e
Planetarie del Marzo'97 anche uno degli argomenti 'forti' del gruppo di
McKay ha subito un severo attacco. Il problema riguarda i granuli di magnetite
e pirrotite che si accumulano nelle vicinanze dei supposti nanobatteri
marziani. Secondo H.McSween, un biologo della Tennessee University le particelle
di magnetite mancano della regolarita' di forme e dimensioni tipiche di
certi batteri. Addirittura, secondo Harvey (Universita' di Cleveland),
molte particelle di magnetite presentano cosi' evidenti difetti nella struttura
cristallina da farne escludere non solo l'orgine biologica ma anche la
deposizione a bassa temperatura. Ancora piu' categorica la posizione di
J.Bradley (Universita' della Georgia) secondo cui i supposti nanofossili
marziani non sarebbero altro che granuli allungati di magnetite.
Un altro punto molto delicato e' stato toccato da C.K.Sheare (Universita'
del New Mwxico) e J.P.Greenwood (Universita' del Tennessee) e riguarda
la misura del rapporto tra Zolfo32 (S32) e Zolfo34 (S34) nei solfuri di
Ferro all'interno (pirrotite) ed all'esterno (pirite) dei carbonati di
ALH84001.Questa indagine e' importante perche' e'ben noto che, nei batteri
terrestri, c'e' una netta tendenza all'arricchimento di S32 rispetto all'S34.
Ebbene le microanalisi entro ALH84001 sembra indichino sempre una situazione
del tutto opposta a quella biologica (leggi: eccesso di S34): gli stessi
autori fanno notare che questa situazione e' tipica di molte altre meteoriti
marziane da essi analizzate.
Questo, dunque, un riassunto di tutte le ricerche e le controversie
finora disponibili. Non a caso, un'indagine tra tutti i partecipanti al
28° Congresso di Scienze Lunari e Planetarie tenutosi a Houston nella
primavera del 1997 ha dimostrato che solo il 20% degli intervistati ritiene
che le prove a disposizione dimostrino con sufficiente certezza l'esistenza
di antica attivita'microbica su Marte.