GAT - Gruppo Astronomico Tradatese

Lettera n°73

ALH84001 un anno dopo

Sommario:


Introduzione

Non c'e' dubbio che l'estate di quest'anno e' stata caratterizzata (e speriamo continui ad esserlo per molti mesi ancora!) dall'esplorazione della regione marziana di Ares Valley da parte della sonda PATHFINDER Per questo dedicheremo tutte le nostre conferenze di Novembre ai risultati preliminari di questa missione. Ma Pathfinder e' atterrata su Marte ad un anno esatto dall'annuncio della possibile presenza di batteri marziani nella METEORITE ANTARTICA ALH84001: per questo abbiamo deciso di dedicare interamente questa lettera ad una complessa disamina di questa affasciante e controversa ricerca.
Purtroppo, pero', una notizia tristissima ci ha raggiunto come un fulmine a ciel sereno lo scorso 18 Luglio: in un drammatico incidente moriva in Australia a soli 69 anni, Eugene Shoemaker, un nome mitico nella ricerca planetaria di questo secolo e scopritore della famosa cometa che ha colpito Giove nel 1994. Gravemente ferita la moglie Carolyn, sua compagna di tante ricerche su comete ed asteroidi. Erano una coppia perfetta ed indivisibile. Conoscemmo entrambi nel 1991 al Congresso Mondiale di Belgirate sui Piccoli Corpi del Sistema Solare: lui burbero ed estroverso, lei dolce e paziente. Una perdita irreparabile per la comunita' scientifica mondiale!
 


ALH84001 UN ANNO DOPO
Esattamente un anno fa, il 7 Agosto'96, nel corso di una famosa conferenza stampa tenutasi ad Houston, un gruppo di 9 ricercatori della NASA guidati da David McKay (JSC - Johnson Space Center) dava il clamoroso annuncio di aver individuato tracce di batteri fossili nella meteorite marziana ALH84001. Ci sembra quindi giusto fare il punto (il primo in Italia da allora) della grande quantita' di studi (e di polemiche!) che si sono susseguite in questi mesi.
Due caratteristiche differenziano ALH84001 da tutte le altre meteoriti marziane: la prima e' un'eta' molto antica di 4,5 miliardi di anni, la seconda e' la presenza 'massiccia' di carbonati (attorno al 5%) infiltratisi in un complesso sistema di fratture prodotte da un impatto meteorico 4 miliardi di anni fa. ALH 84001 si e' poi staccato da Marte 17 milioni di anni fa, in conseguenza di un ennesimo violento impatto meteorico che l'ha proiettato nello spazio, facendola planare, circa 13.000 anni fa sulla collina antartica di Allan Hill.
S.Clemett e R.Zare, due chimici analitici dell'Universita'di Stanford hanno scoperto, entro i carbonati di ALH84001, idrocarburi aromatici policiclici (PAH) in quntita' relativamente abbondante, ritenuti da D.McKay di origine batterica. Veramente peculiare e' poi la struttura degli stessi granuli carbonatici da 50-100 µ che riempiono le fratture: il cuore e' fatto di Carbonato di Calcio (arancione), con all'esterno gusci alternati di carbonato di Ferro (chiaro) e carbonato di Magnesio (scuro). Grazie al contributo di H.Vali (Universita' di Montreal), nelle parti piu' esterne dei globuli di carbonato sono stati scoperti accumuli contemporanei di ossido di Ferro (Magnetite) e solfuro di Ferro (pirrotite), in particelle non piu'lunghe di 100 nanometri. Secondo H.Vali le inclusioni di magnetite hanno grande somiglianza con depositi dello stesso materiale che, chiamati "magnetofossili", vengono usati da certi batteri terrestri per orientarsi nel campo magnetico esterno. Gli stessi batteri possono altresi' creare condizioni per la precipitazione contemporanea di magnetite e pirrotite, laddove e' ben noto che questo processo, perche' avvenga in maniera naturale, richiede condizioni chimiche assolutamente improbabili.
A queste testimonianze chimiche, si e' aggiunta una clamorosa osservazione di due esperti di microscopia elettronica come E.K.Gibson (JSC) e Kathie L. Thomas-Keprta (Lockheed Martin). In pratica cioe', laddove nei carbonati di ALH84001 si concentrano i minerali di Ferro, foto al microscopio elettronico hanno evidenziato strutture ovoidali allungate, mai prima riscontrate in nessun meteorite ed incredibilmente simili a tracce fossili di batteri terrestri, anche se 100 volte piu' piccoli.
Fin dal primo momento D. McKay ha sempre ribadito con fermezza il pensiero di fondo del suo gruppo: "Ciascuna delle testimonianze che noi abbiamo raccolto potrebbero essere singolarmente spiegate in maniera NON biologica. Quando esse vengono pero' valutate COLLETTIVAMENTE, soprattutto in considerazione della loro chiara ASSOCIAZIONE SPAZIALE, ci sembra che debbano considerarsi una prova dell'antica esistenza di forme di vita primordiali su Marte".
Ne e' seguito un vero diluvio di ricerche e pubblicazioni. Vediamo di trovare un filo conduttore coerente in questa autentica 'giungla' di nuovi lavori sperimentali.
 


DA DOVE VENGONO I PAH.
Come abbiamo accennato ALH 84001 contiene una quantita' media di 1 ppm (parte per milione) di idrocarburi aromatici policiclici (PAH), concentrati soprattutto alla periferia dei granuli di carbonati. Gli spettri di massa (Fig.1) ne indicano una suddivisione in due categorie: nella principale (peso molecolare fino a 276) dominano i sistemi da 3-6 anelli senza sostituenti laterali (molto strana e' l'assenza del naftalene, ossia della specie a due anelli), la seconda (peso molecolare fino a 450), nettamente meno abbondante, e' invece caratterizzata dalla presenza di policicli ad alto grado di sostituzione laterale.

Figura 1 
La quantità di PAH in ALH84001 aumenta sistematicamente andando verso l'interno. Qui vediamo l'andamento del più abbondante tra essi.
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La prima contestazione alla presenza di PAH e' stata che essi potrebbero non essere indigeni, ma derivare da inquinamento terrestre. Su questo punto il team di McKay ha subito ribattuto in maniera molto convincente. Intanto i PAH sono assenti nei primi 50 microns di crosta (dove evidentemente sono stati distrutti dalla pirolisi termica durante l'entrata in atmosfera), quindi la loro concentrazione AUMENTA con la profondita': esattamente l'opposto di quanto ci si deve aspettare da un inquinamento ambientale! In secondo luogo i PAH di provenienza umana (leggi: combustione parziale di idrocarburi fossili) sono caratterizzati da estese ramificazioni laterali e dalla presenza di eterocicli a base di Zolfo (dibenzotiofene), nonche' di naftalene: esattamente il contrario che in ALH84001. Il team di Mckay ha inoltre ben evidenziato come in altre meteoriti antartiche sia provenienti dalla stessa regione di ALH84001 (ALH83013 e ALH83101) che da molto piu' lontano (LEW 85820) NON sono state trovate tracce evidenti di PAH. Senza contare che la quantita' di PAH entro ALH84001 e'risultata nettamente superiore alla quantita' massima presente nei ghiacci dell'Antartide (stimata non superiore a 1 ppb, ossia 1000 volte meno abbondante!). J.Bada (Scripps Oceanographic Institute) ha pero' presentato nella primavera del 1997 un lavoro di sottile contestazione: secondo esperimenti condotti nel suo laboratorio i carbonati sarebbero in grado di assorbire dall'acqua circostante i PAH concentrandoli fino ad un milione di volte! Lo confermerebbe il fatto che PAH simili a quelli di ALH84001 sono stati trovati in un altro famoso meteorite marziano, EETA79001 dove, guarda caso, il gruppo di C.T. Pilliger (Open University) rinvenne tracce di carbonati gia' nel lontano 1985. Secondo E.Anders (Universita' di Chicago) si tratterebbe di una specie di 'effetto spugna' dovuto alla porosita' dei carbonati. Considerazioni difficili da ribattere? Certo, ma non per S.Clemett (lo scopritore di PAH in ALH8401) che ha colto nel lavoro di J.L.Bada un chiaro punto debole: in pratica J.L.Bada avrebbe 'barato' avendo usato nei suoi esperimenti una miscela di PAH SOLUBILI in acqua, mentre invece la maggior parte dei PAH entro ALH84001 sono INSOLUBILI (quindi NON trasportabili dall'acqua)! In definitiva, dopo un anno di discussioni, sembra ormai accettato il fatto che i PAH in ALH84001 siano di natura endogena, ossia originari del meteorite. Rimane pero' aperta la discussione sulla loro origine, se naturale o biologica. Una possibilita', la seconda, supportata da un lavoro presentato dal gruppo di C.Pillinger (Open University) al 28°LPSC secondo cui il materiale organico (soprattutto PAH) adsorbito nella matrice carbonatica di ALH84001 e' nettamente ARRICCHITO di Carbonio12 rispetto al Carbonio13, una caratteristica, questa, assolutamente tipica del metabolismo batterico.
 


IL MESSAGGIO DEI CARBONATI.
Come abbiamo spiegato, tutti gli indizi dell'esistenza di batteri marziani fossili si raggruppano all'interno dei carbonati che riempiono le fessure di ALH84001. Ricordiamo che la struttura chimica stratificata di queste formazioni (con depositi di magnetite e pirrotite all'esterno) e' qualcosa davvero molto particolare, forse unico. (Fig.2). Ovvio che l'ipotesi batterica diventa indissolubilmente legata alla temperatura (alta o bassa) di deposizione dei carbonati marziani.

Figure 2
Il meteorite ALH84001 tagliato a metà.
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Il meteorite ALH84001 intero.
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Frammento del meteorite ALH84001.
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Fessure ricche di carbonati.
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Vari granuli di carbonato visti in sezione.
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Granulo di carbonato.
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Due sono le ricerche principali A FAVORE DI UNA TEMPERATURA DI DEPOSIZIONE BASSA.
La prima, introdotta gia' alla fine del 1994 da G.S.Romanek (uno dei primi ad unirsi al gruppo di D.McKay al Johnson Space Center) si basa sulla misura della composizione isotopica dell'O (ossigeno) e della CO2 (anidride carbonica) emessa dai carbonati stessi per trattamento acido ad 80°C. L' Ossigeno dei carbonati mostra un arricchimento in O18 (20%. rispetto a O16) differente e 4 volte superiore a quello della matrice silicatica (che, verosimilmente, si era depositata ad alta temperatura). A questo dato J.W.Walley (Universita' del Wisconsin) ha aggiunto un altro importante risultato: quello secondo cui il tenore di O18 NON e' costante ma e' variabile, aumentando, lungo un granulo di carbonato, progressivamente dal cuore verso la periferia. Ebbene, entrambe queste risultanze isotopiche si giustificano nel caso che a depositare i carbonati nelle fessure sia stata acqua corrente a T<80°C.
Ma, forse, la prova piu'consistente che i carbonati di ALH84001 non possono aver sperimentato altissime temperature, deriva da uno studio sul magnetismo naturale residuo (NRM), pubblicato nella primavera del 1997 da J.L. Kirschvink (CalTech). E' ben noto che quando una roccia si forma per raffreddamento di un magma fuso in presenza di un campo magnetico esterno, eventuali minerali magnetizzabili si allineano secondo questo campo magnetico conservandolo indefinitamente sotto forma di magnetismo fossile (NRM). Ebbene, Kirschvink ha prelevato un frammento da una delle fratture di ALH84001 piu' ricolme di carbonati e ha rilevato un analogo forte magnetismo fossile NRM in due piccole zone adiacenti ricche di pirrotite. Kirschvink ha anche verificato che l' orientazione del NRM nei due frammenti e' completamente diversa (la differenza e'di ben 75°). Questo significa che i due frammenti possono aver subito una dislocazione reciproca nel momento in cui il meteorite si fratturo' (come detto 4 milardi di anni fa), senza che, pero', in seguito si siano sovrapposti episodi di riscaldamento a Temperatura >325°C (questa e' infatti la temperatura in grado di azzerare il magnetismo della pirrotite). Se questo fosse successo i due frammenti avrebbero perso il magnetismo (disassato) originario e ne avrebbero acquisito uno nuovo, questa volta senza differenza di orientazione!
Come si vede, dunque, questo del magnetismo residuo e' un argomento molto 'forte' a favore di una bassa temperatura per la deposizione dei carbonati. Cio' non toglie che siano molto agguerriti anche i fautori della DEPOSIZIONE AD ALTA TEMPERATURA.
A guidare il gruppo e' H.Y. McSween (Universita' del Tennesse) il quale contesta che i carbonati siano stati deposti in ALH84001 da acqua corrente a bassa temperatura per una ragione molto semplice: mancano, nelle vicinanze dei carbonati, materiali come caolini od argille che sempre si accompagnano ai sedimenti idrotermali. Piu' semplice, secondo McSween, supporre che l'acqua in tutto il processo non centri assolutamente nulla. La ragione? Lo dimostrerebbe il fatto che il cuore dei granuli di carbonato e' costituito da una miscela di due minerali di Calcio, la Calcite e la Dolomite: ebbene, da esperimenti di laboratorio, cio' risulta possibile solo a Temperature vicine ai 700°C, come, per esempio, in occasione di impatti meteorici. Il ricorso all'azione dI impatti meteorici e'stato preso in considerazione pure da E.D.Scott (Universita' delle Hawaai), anche se, in questo caso, le considerazioni sono piu' di tipo mineralogico che chimico. Secondo Scott molti dei carbonati riempiono in maniera cosi' compatta le fratture del meteorite da far pensare che essi vi si siano inseriti allo stato fuso (e' ben noto - ricorda Scott - che le lave carbonatiche sono tra le piu' fluide che si conoscano). Ma nell'eventualita' di un carbonato fuso la cristallizzazione nei singoli granuli (leggi: orientazione dei cristalli) dovrebbe procedere dall'esterno verso l'interno e non, come si osserva in realta', viceversa!
 


IL MISTERO DEI BATTERI FOSSILI
I documenti piu' 'insinuanti' sono senza dubblio le immagini (ottenute con il SEM, microscopio elettronico a scansione) di possibili batteri fossili all'interno dei carbonati di ALH84001. (Fig. 3). Si tratta di aggregati di piccoli 'oggetti' ovoidali rintracciati in tutte quelle zone dove i carbonati sembrano aver subito un processo disgregativo e particolarmente abbondanti laddove c'e' addensamento di ferro e zolfo (leggi: bordi esterni dei granuli carbonatici). Se la loro morfologia richiama in maniera impressionante quella di batteri fossili terrestri, le loro dimensioni arrivano al massimo a 100 nm (nanometri), quindi sono da 10 a 100 volte piu' piccoli di qualunque batterio terrestre conosciuto.

Nanobatteri marziani fossili.
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Nanobatteri marziani fossili.
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Particelle di magnetite.
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Nanobatteri terrestri.
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Colonie di nanobatteri marziani?
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L'ipotesi dell'artefatto e' immediatamente tramontata quando A. Steele (Universita' di Portsmouth), durante il 28°LPSC, ha mostrato foto delle stesse formazioni ovoidali ottenute con uno strumento completamente diverso dal SEM, vale a dire un microscopio a forza atomica (AFM).
Non c'e' dubbio che, su queste formazioni, le perplessita' maggiori rimangono quelle delle loro troppo piccole dimensioni. Per esempio W. Schopf (Universita' della California), un'autorita' mondiale nella ricerca e scoperta di microfossili terrestri, ha sottolineato come il volume medio dei presunti batteri marziani sia solo 1/1000 di quello del piu' piccolo nicroorganismo terrestre: in un volume cosi' piccolo sembra impossibile possano trovar posto i costituenti principali del metabolismo cellulare. Va pero' ricordato che nel 1990 R.L.Folk e F.L.Lynch (Universita' del Texas) hanno rintracciato in alcune concrezioni calcitiche del Pleistocene delle minuscole forme fossili da essi (ma non da tutti!) interpretate come l'impronta di antichi nanobatteri.
A questo punto, pero', non si deve dimenticare che un' altra delle perplessita' sui batteri fossili marziani riguarda proprio la loro eta' che, essendo coeva con la deposizione dei carbonati, si colloca tra 3,8 (troppo antica!) e 1,4 miliardi di anni fa (troppo giovane!).
L'eta'piu' antica non e' piu' un problema da quando, alla fine del 1996, un gruppo di ricercatori guidati da S.J. Mojzsis (Universita' della California) ha rintracciato in Groenlandia tracce di vita fossile risalenti a 3,85 miliardi di anni fa. Per contro un'eta' di 1,4 miliardi sembrerebbe successivo al periodo in cui Marte aveva condizioni adatte alla vita. Ma i dati presentati dal gruppo di C.Pillinger (Open University) ad un congresso della Royal Society tenutosi nel Novembre'96 a Londra hanno completamente riaperto la discussione. Oggetto della ricerca e' stata l'analisi della presenza di sostanze organiche in un'altra famosa meteorite marziana, EETA79001, la cui eta'-come ben noto- e'di soli 1,3 miliardi di anni. Ebbene, elaborando e completando alcuni dati preliminari pubblicati gia' nel 1989, gli studiosi inglesi asseriscono di aver estratto da EETA79001 del materiale carbonioso che, presentando un nettissimo impoverimento in C13 (in un campione si arriva al doppio della media terrestre!) va a tutti gli effetti ritenuto di origine biologica. Questo risultato, se confermato, non solo sarebbe di grosso supporto ai risultati del gruppo di McKay su ALH84001, ma dimostrerebbe anche che la vita su Marte era ancora attiva 1,3 miliardi di anni fa.
Sta di fatto che, durante il 28° Congresso di Scienze Lunari e Planetarie del Marzo'97 anche uno degli argomenti 'forti' del gruppo di McKay ha subito un severo attacco. Il problema riguarda i granuli di magnetite e pirrotite che si accumulano nelle vicinanze dei supposti nanobatteri marziani. Secondo H.McSween, un biologo della Tennessee University le particelle di magnetite mancano della regolarita' di forme e dimensioni tipiche di certi batteri. Addirittura, secondo Harvey (Universita' di Cleveland), molte particelle di magnetite presentano cosi' evidenti difetti nella struttura cristallina da farne escludere non solo l'orgine biologica ma anche la deposizione a bassa temperatura. Ancora piu' categorica la posizione di J.Bradley (Universita' della Georgia) secondo cui i supposti nanofossili marziani non sarebbero altro che granuli allungati di magnetite.
Un altro punto molto delicato e' stato toccato da C.K.Sheare (Universita' del New Mwxico) e J.P.Greenwood (Universita' del Tennessee) e riguarda la misura del rapporto tra Zolfo32 (S32) e Zolfo34 (S34) nei solfuri di Ferro all'interno (pirrotite) ed all'esterno (pirite) dei carbonati di ALH84001.Questa indagine e' importante perche' e'ben noto che, nei batteri terrestri, c'e' una netta tendenza all'arricchimento di S32 rispetto all'S34. Ebbene le microanalisi entro ALH84001 sembra indichino sempre una situazione del tutto opposta a quella biologica (leggi: eccesso di S34): gli stessi autori fanno notare che questa situazione e' tipica di molte altre meteoriti marziane da essi analizzate.
Questo, dunque, un riassunto di tutte le ricerche e le controversie finora disponibili. Non a caso, un'indagine tra tutti i partecipanti al 28° Congresso di Scienze Lunari e Planetarie tenutosi a Houston nella primavera del 1997 ha dimostrato che solo il 20% degli intervistati ritiene che le prove a disposizione dimostrino con sufficiente certezza l'esistenza di antica attivita'microbica su Marte.


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