GAT - Gruppo Astronomico Tradatese
Lettera n°87
Big Bang, si... Big Bang, no...

Sommario:


Introduzione

Alle 21,04 di Lunedì 12 Febbraio la ricerca spaziale ha vissuto un nuovo evento destinato ad entrare nella storia: in quel momento, infatti, la sonda NEAR si è posata 'dolcemente' sulla superficie meridionale dell'asteroide EROS, dopo averne studiato ogni minimo dettaglio in un anno di lavoro orbitale. Le operazioni di atterraggio erano iniziate il 13 Dicembre 2000 con l'inserimento per sei settimane in un'orbita circolare di soli 35 km, perfettamente adatta per una intensa campagna di analisi compositive condotte dallo strumento XGRS sui raggi X emessi dalla superficie per interazione col vento solare. Si sono succeduti, quindi, 6 passaggi sempre più vicini alla superficie (l'ultimo del 28 Gennaio 2001 a meno di 3 km di distanza), prima del tentativo finale, perfettamente riuscito, di discesa morbida. La NEAR si è posata sul suolo di EROS alla velocità di circa 1,5 m/sec, riuscendo a riprendere 69 immagini sempre più ravvicinate (l'ultima alla distanza di soli 120 metri!). L' incredibile è però successo dopo l'atterraggio: tutto a bordo ha continuato a funzionare, compresa l'antenna che è rimasta diretta verso la Terra (da qui la decisione di soprassedere, due giorni dopo, ad un nuovo tentativo di risalita, reso peraltro insicuro dalla riserva di propellente ormai quasi esaurita). Inevitabile un prolungamento della missione per altri 10 giorni, con lo scopo primario di utilizzare lo strumento XGRS per analisi del suolo divenute a questo punto davvero decisive per capire l'origine di Eros. Una decisione che si aggiunge al prolungamento di 14 mesi della missione Mars Global Surveyor (che si sarebbe dovuta chiudere il 31 Gennaio dopo 687 giorni e 10.000 orbite marziane).
 
Figura 1-2-3
Sequenza dell'atterraggio della sonda NEAR su Eros.
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Ma questo momento di grazia della ricerca astronomica trova riscontro anche nell'Universo lontanissimo, con alcune scoperte davvero affascinanti sul problema (basilare per la Cosmologia) del collegamento tra distanza e spostamento verso il rosso (redshift z) delle galassie: ne parliamo nel proseguo di questa lettera presentando due punti di vista estremamente stimolanti anche se antitetici.
Terminiamo ricordando ancora che è sempre aperto il nostro concorso annuale in memoria di Eros Benatti. Il tema 2001 è relativo a proposte per un nostro futuro autoadesivo. Affrettatevi perchè la scadenza improrogabile è fissata per la fine di Maggio di quest'anno.


Big Bang, si...

E' ben noto che una delle prove più convincenti della teoria del Big Bang è l'esistenza di una radiazione fossile di corpo nero (fondo cosmico di microonde o CMBR) che pervade in maniera omogenea e isotropa tutto l'Universo e che rende conto esattamente del raffreddamento di una sfera di fuoco primordiale caldissima (10 miliardi di °C) che esplose e cominciò ad espandersi 15 miliardi di anni fa. L'esistenza del fenomeno dell'espansione venne, come ben noto, intuita per la prima volta negli anni 30 fa da E. Hubble, in base alla scoperta che tutti gli ammassi di galassie mostrano un sistematico spostamento delle righe spettrali verso il rosso (red shift z) proporzionale alla loro distanza. Nell'Universo vicino a noi (quindi quello a z=0) la temperatura della Radiazione Fossile CMBR è stata misurata con estrema precisione negli anni 90 dal satellite COBE ed è risultata (in gradi °K o assoluti) TCMBR=2,726 °K (in poche parole molto prossima a -270°C), in accordo praticamente perfetto con la teoria. Ma se veramente la temperatura di 2,726°K è la testimonianza del raffreddamento del Cosmo dopo 15 miliardi di anni di espansione, questa temperatura doveva essere progressivamente maggiore in passato. Poter quindi misurare l'andamento della Radiazione Fossile in epoche diverse dalla nostra (ossia in regioni del Cosmo più lontane e quindi caratterizzate da valori di z progressivamente crescenti) costituirebbe un formidabile strumento per mettere alla prova la Teoria del Big Bang. Dalla stessa teoria, infatti, si può ricavare che la temperatura della Radiazione Fossile ad una certa distanza da noi [TCMBR (z)] deve aumentare in maniera lineare andando a ritroso nel tempo (ossia con l'aumentare di z) secondo questa semplice relazione:

TCMBR(z) = TCMBR (z=0) (1 + z)= 2,726 (1 + z)

La misura sperimentale della validità di questa espressione sarebbe possibile, almeno in via di principio, se si ritrovasse, in qualche lontana nube di gas intergalattico (leggi: alto valore di z) qualche elemento chimico che mostrasse un passaggio di una certa quantità di atomi dallo stato fondamentale a stati leggermente eccitati grazie all'assorbimento della CMB ivi presente. A questo punto, anzi, sarebbe proprio la differenza di popolazione atomica tra stato fondamentale ed eccitato (in altre parole il rapporto tra atomi più o meno eccitati) a permettere un calcolo della temperatura della CMBR necessaria per produrre questo effetto: un confronto tra questa TCMBR sperimentale e la TCMBR teorica relativa al valore di z della nube di gas in questione, darebbe immediata indicazione della validità o meno della teoria (del Big Bang). Una possibilità sperimentale, come si vede, assai interessante ed intuitiva che, però, si è sempre scontrata con almeno due grandi difficoltà pratiche. La prima era naturalmente la necessità di trovare oggetti cosmici adatti a queste misure, che ha prodotto, nella seconda metà degli anni 90, non più di una decina di candidati dalle caratteristiche opportune (vedremo tra poco quali). La seconda, ancora più grave, era l'esigenza di disporre di strumenti capaci, grazie ad una elevatissima risoluzione spettroscopica, di separare righe spettrali così vicine come quelle tra stati eccitati e non. Ebbene, entrambi questi obiettivi sono stati raggiunti pochi mesi fa da un team di astronomi dell' ESO (European Southern Observatory) quidato da C.Ledoux, grazie all'utilizzo dello spettrometro UVES (Ultraviolet and Visible Echelle Spectrograph) applicato al primo dei 4 grandi telescopi VLT da 8,2 metri (il Kueyen) costruiti in cima al Cerro Paranal. Le osservazioni sono state condotte tra il 5 e il 7 Aprile 2000 sul lontano quasar PKS1232+0815, situato, in base alle sue righe di EMISSIONE, ad uno z= 2,57. Nello spettro del quasar, però, era presenti anche tutta una serie di righe di ASSORBIMENTO sia dell'idrogeno molecolare, sia di metalli come Fe (1125,4 A), Mg (1827,9 A), Si (1808 A). Tutte queste righe di assorbimento mostravano un valore di z=2,3377, quindi completamente diverso da quello del quasar: questo era un chiaro indizio che queste righe erano da attribuire ad una NUBE MOLECOLARE interposta tra noi e il quasar. La cosa estremamente interessante è che gli autori della ricerca sono riusciti, per la prima volta, ad individuare, in questa nube a z=2,3377 anche nitide righe del Carbonio neutro in tutti e tre i livelli del suo stato fondamentale (C°, C°* e C°**):
 
Figura 4
Lo spettro di cui si parla nel testo.
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Dall'intensità relativa delle tre classi di righe è stato allora possibile misurare la popolazione di ciascun livello (in pratica la% di atomi di Carbonio in ciascuno dei tre livelli). Da qui il team di C.Ledoux ha potuto determinare l'energia necessaria perché gli atomi di C della nube si distribuissero nel modo osservato nei tre livelli. Con la conclusione che attorno alla nube a z=2,3377 ci deve essere un campo di radiazione corrispondente ad una temperatura tra 6 e 14 °K. Questo risultato è di eccezionale interesse per una ragione molto semplice: la temperatura (6-14°K) della radiazione eccitatrice del Carbonio neutro si colloca esattamente a cavallo di quella calcolabile (in base alla teoria del Big Bang) per la Radiazione Fossile a quel valore di z (che, per la precisione vale 9,1 °K).

Questi risultati sono stati resi noti alla fine dello scorso Dicembre e costituiscono la prima prova diretta e precisa che nel passato (a z=2,3377) quando l'Universo era più giovane, era anche più caldo. Ma, in fondo, a questa conclusione erano giunte anche un'altra decina di misure analoghe fatte negli anni passati. Le misure precedenti, però, erano più imprecise e quindi molto disperse. La vera novità, in questo caso, è quindi un'altra: che il valore di TCMBR qui determinato a z=2,3377, si colloca esattamente sulla retta teorica dedotta dalla teoria del Big Bang:
 
Figura 5
Le temperature misurate a diversi redshift.
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Big Bang, no...

Le spettacolari immagini del QUINTETTO DI STEPHAN (un famoso gruppo di galassie interagenti, situato prospetticamente nella costellazione di Pegaso) rilasciate lo scorso 25 Ottobre 2000 dal Telescopio Spaziale Hubble (HST), stanno rinfocolando non poco l' annosa polemica sul problema dell'esistenza di redshift z discordanti in galassie apparentemente collegate tra di loro per reciproca interazione. Neanche a farlo apporta il 'polverone' è stato sollevato da H.Arp che aspettava certamente da anni un' occasione così ghiotta per prendersi una clamorosa rivincita. Il caso appare talmente eclatante da meritare una descrizione il più possibile accurata.

Dunque HST ha puntato la WFPC2 (Wide Field Planetary Camera 2) sul Quintetto di Stephan in due occasioni, nel Dicembre '98 e nel Giugno'99, realizzando un mosaico a colori mediante sovrapposizione di tre pose nel rosso (2000" di posa con filtro 814W), nel verde (3200" di posa con filtro 569W) e nel blu (6800" di posa con filtro 450W). La regione inquadrata (di 3,7x2,5 ") non comprende tutte le galassie del Quintetto ma solo le tre più centrali. Questo, però, è stato sufficiente ad Arp per rilanciare una polemica più che ventennale: nell'inquadratura di HST compaiono infatti due galassie ad alto z (NGC7319 e NGC7318B) ma anche una galassia che, nonostante uno z molto inferiore (NGC 7320) sembra interagire con le prime due. Inutile dire che, mentre Arp ha sempre sostenuto che l'interazione è reale, il resto della comunità scientifica ritiene l'avvicinamento solo prospettico. Adesso però, dopo le riprese HST, la situazione sembra essersi clamorosamente 'ingarbugliata'. Ma procediamo con ordine.

Il Quintetto venne scoperto nel lontano 1877 dall'astronomo francese E. Stephan al riflettore da 80 cm dell'Osservatorio di Marsiglia. Alle singole galassie venne assegnato il nome di NGC 7317, NGC 7318A/7318B, NGC 7319 ed NGC 7320. Poco a Nord-Est di NGC 7319 si trova una galassia BARRATA denominata NGC7320C. Sulla stessa direzione ma distante 31' (quindi apparentemente sconnessa col resto del gruppo) si trova invece una grande galassia Sb denominata NGC7331.

Le polemiche cominciarono a scoppiare nel 1961 quando G. e M.Barbridge ripresero spettri di tutte queste singole galassie. Ci si accorse, infatti che quattro galassie (NGC 7317, 7318A/B,7319) mostravano un alto valore di z, ovvero una velocità di recessione compresa tra 5700 e 6700 Km/sec, quindi, una distanza (legata a z) di 270 milioni di anni luce; per la quinta galassia invece (NGC 7320) il valore di z era molto inferiore e questo imponeva una velocità di recessione di 'soli' 800 km/sec o, se vogliamo, una distanza di 35 milioni di anni luce. Ma dal momento che NGC7320 sembra in netta interazione con la coppia NGC7318A/B, pareva un controsenso che le distanze reciproche (dedotte dai rispettivi z) fossero differenti quasi di un fattore 10! Altro controsenso sembrava risiedere nella coppia stretta NGC7318A/B: i rispettivi valori di z imporrebbero infatti una inspiegabile differenza di ben 1000 km/sec nelle velocità di recessione (non sono note, e sono teoricamente assai improbabili galassie interagenti così dinamicamente differenti) A meno di non ammettere, come ha sempre asserito Arp, che i valori di z dei singoli componenti del Quintetto non abbiano nulla a che fare con la velocità di recessione....
 
Figura 6
Il quintetto di Stephan.
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Dopo che per 20 anni Arp le ha tentate veramente tutte senza mai riuscire a convincere gli avversari, adesso, in presenza delle nuove foto riprese da HST, le cose sono decisamente cambiate. Vediamo perché.

Diciamo innanzi tutto che una conseguenza tipica delle galassie in collisione è una intensa formazione stellare che si riscontra nelle immagini sotto forma di autentici 'grappoli' di stelle blu (in quanto giovani e calde) immerse in ampie 'bolle' di idrogeno ionizzato (le cosiddette regioni H II) le cui dimensioni sono talmente standardizzate da rendere le regioni H II degli ottimi indicatori di distanza. Anche tra le galassie interagenti del Quintetto di Stephan la formazione stellare è molto spinta. Lo si può constatare soprattutto a livello della coppia NGC7318A/B, dove l'interazione mareale reciproca sembra aver prodotto tutto attorno una specie di anello azzurro di regioni H II: questa materia, che quasi avvolge la coppia di galassie, sembra addirittura sul punto, di condensarsi in una o più nuove galassie nane. Ma formazioni analoghe (quindi tipiche di interazione mareale) sono presenti anche sul

bordo di NGC7320 rivolto verso NGC 7318A/B: questo dovrebbe far pensare ad una distanza simile tra questi tre oggetti. Ma a contrastare questa interpretazione c'è il fatto

che NGC7320 possiede un valore di z nettamente inferiore a quello della coppia NGC 7318A/B: da qui l'opinione diffusa che la supposta vicinanza sia solo prospettica e non reale. E questo nonostante che già nel 1961 G. e M. Barbidge calcolarono che la probabilità di una intrusa proiettata accidentalmente era davvero molto piccola, inferiore allo 0,1%! Per risolvere la questione sarebbe quindi stato necessario trovare un parametro per il calcolo delle distanze INDIPENDENTE dal semplice valore di z. Ebbene proprio questo Arp è riuscito a fare grazie al fatto che le splendide immagini HST hanno per la prima volto risolto in singole stelle le regioni blu di intensa formazione stellare.
 
Figura 7
Le regioni HII.
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E' apparso così evidente come sia le stelle singole sia le regioni H II presenti nella galassia NGC 7320 (quella a basso z) sono IDENTICHE in dimensione e luminosità a quelle che costituiscono l'anello di interazione della coppia NGC7318A/B: da qui la conclusione che anche le distanze debbano essere identiche nonostante la differenza di z! E' davvero difficile, se non impossibile, contestare questa conclusione! E' molto significativo, per esempio, che alle stesse conclusioni sia arrivato (immediatamente dopo aver visto le foto HST) anche un grande esperto di galassie come il Prof. Paolo Maffei. Inevitabile, a questo punto, che le polemiche sulla vera natura del Quintetto di Stephan debbano ritornare roventi. Si, perché ci troviamo di fronte a due interpretazioni talmente diverse da lasciare esterrefatti.

Da una parte c'è l'interpretazione diciamo così UFFICIALE che collega rigorosamente i valori di z alle distanze e che di seguito riassumiamo. Pochi milioni di anni fa il gruppo venne attraversato dal basso dalla (ormai lontana) galassia NGC 7320C (la barrata situata alcuni secondi d'arco in direzione Nord-Est). Questo incontro ravvicinato strappò lunghi filamenti di gas dalle galassie bersaglio con la formazione di grandi quantità di nuove stelle; per contro l'interazione mareale modificò anche la forma di NGC 7320C tramutandola in una galassia barrata. In realtà, però, non si tatta di un gruppo di cinque ma solo di tre galassie (NGC 7317, 7318A e 7319): prospetticamente sovrapposte a questo terzetto si trovano NGC 7320 (molto più vicina) ed NGC 7318B (un po' più lontana, mostrando una velocità di recessione di circa 1000 km/sec superiore). Perché questa interpretazione 'regga' è necessario ammettere che per puro caso due galassie 'distantissime' come la coppia NGC7318A/B non solo si siano apparentemente sovrapposte reciprocamente, ma siano anche capitate prospetticamente entro uno spazio angolare ristrettissimo come quello racchiuso dall'anello azzurro di noduli H II. Due probabilità già singolarmente minime, che combinate danno una probabilità globale davvero infinitesima (anche se, comunque, sempre diversa da zero).

Ben differente e sorprendente è l'interpretazione di H.Arp. Essa è naturalmente basata sull' assunzione che tutte le galassie del Quintetto si trovino alla stessa distanza nonostante le differenze di z. Questo perché, come noto, secondo Arp, le differenze di z NON sono collegate alle distanze ma all'età intrinseca delle galassie, che nascerebbero con alto valore intrinseco di z per espulsione dal nucleo di galassie attive più antiche (quindi dotate di z molto più bassi). Su queste basi, il Quintetto di Stephan sarebbe composto da una galassia 'madre' più antica a basso z (la NGC7320) dal cui nucleo sono state espulse le altre quattro galassie (più giovani e quindi ad alto z)! Arp fa anche notare che una situazione analoga si ritrova 31' più a Nord, dove la grande galassia barrata NGC7331 (il cui valore di z è quasi identico a quello di NGC7320) presenta lungo la direzione Est del suo asse minore, un certo numero di 'compagne' con aspetto, dimensione ed alto valore di z molto prossimi a quelli del sottostante gruppo di Stephan. Questo farebbe pensare che tra NGC7331 e la vicina NGC7320 ci possa essere una certa parentela, ossia che siano galassie per le quali sia plausibile (come indicato dall'analogo valore di z) un'origine comune. Cosa che potrebbe essere dimostrata dall' alone di idrogeno che, secondo i controversi risultati raccolti negli anni 70 al radiotelescopio di Geen Bank dal gruppo di W.Sulentic, sembra avvolgere, in un involucro comune, sia il sistema di NGC7331 che quello di NGC7320.

A questo punto, per capire meglio le interazioni e la struttura tridimensionale del Quintetto di Stephan sarebbe davvero opportuno che HST realizzi un mosaico completo di tutta la regione che lo coinvolge.
 
 


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